Euro, Bitcoin, democrazia

La creazione privata di moneta parallela non è incoerente con il principio dominante della moneta-merce, ma tanto più ne legittimerebbe una creazione pubblica su diversa base.

Il proclamato carattere “europeista” dell’ampio spettro di consensi ufficiali al governo Draghi, gli scenari difficili che la ferrea fedeltà alle regole di Bruxelles appare destinata ad aprire a non troppo lungo termine, e i prevedibili effetti di tutto ciò sulle tendenze prevalenti del pubblico sentire, rendono impossibile eludere alcune questioni di fondo nel promuovere e praticare una efficace opposizione democratica e popolare. L’atteggiamento nei confronti di regole e istituzioni dell’Unione Europea, e innanzitutto nei confronti di quelle monetarie, risulterà molto importante e forse decisivo a questo fine. Il proposito delle seguenti riflessioni è rafforzare e motivare ulteriormente un approccio critico sempre più coerente ed efficace verso idee correnti che tuttora limitano le opzioni considerate in tale campo.

A questo fine è utile muovere da considerazioni non direttamente legate all’attualità, ma fondamentali. Si può innanzitutto osservare come il denaro abbia oscillato lungo la sua storia tra un ruolo di vera e propria merce, sebbene convenzionalmente dotata della funzione speciale di misurare il valore delle altre in quanto scambiate,  e un ruolo quasi di pubblica istituzione, trovato più adatto a svolgere quella funzione o comunque  più conforme alle esigenze di un potere stabilito. Un’altra importante osservazione preliminare è che ogni vera forma di denaro, ossia “moneta”, non può che avere carattere di moneta internazionale, ossia validata internazionalmente almeno in ultima istanza, onde avere effettiva capacità di soddisfare ogni credito e perciò di ottenere qualunque bene o servizio sia cercato.

Il sistema monetario a base aurea assicurò questo requisito in modo specialmente chiaro ed efficace durante il periodo tra diciannovesimo e ventesimo secolo che coincise grossomodo con lo slancio della seconda rivoluzione industriale e si concluse con la catastrofe della guerra mondiale interimperialista: la quale, tra le altre cose, mise in evidenza l’incompatibilità di quel sistema tanto con lo sviluppo della democrazia quanto, in relazione con questo, con la stabilità dei sistemi politici dei singoli paesi e della loro coesistenza in termini geopolitici. Mentre la seconda delle due guerre mondiali si avvicinava a una fine meno insensata rispetto alla precedente, un nuovo sistema monetario internazionale formalmente ancora a base aurea fu progettato e poi parzialmente introdotto con determinanti correttivi che accentuavano come mai in passato il carattere di istituzione pubblica rivestito dal denaro, affidando a governi più o meno coerentemente riferiti a titoli e fondamenti democratici di legittimazione  funzioni di controllo sulla sua produzione, sulla sua disponibilità, e in generale sul suo modo di operare. Decisivamente aiutato a nascere dai risultati globali e più o meno indiretti della rivoluzione sovietica, tale innovazione fu dapprima pesantemente ridimensionata entro il contesto della guerra fredda, e poi cancellata nel quadro di operazioni di natura geopolitica e ideologico-sociale che portarono infine all’annullamento (fino ad oggi) di quei risultati.

Nel presente contesto, il denaro riveste prevalentemente carattere di merce, prodotta e fornita in ultima istanza da fonti private (e inoltre largamente cercata e trattata in sé e per sé come tale). Il necessario carattere internazionale dei generi di moneta vera e propria circolanti in diversi spazi è assicurato da complessi equilibri tra il carattere accentuatamente nazionale rivestito ormai da tempo dal segno monetario riconosciuto come riferimento principale (ossia il dollaro USA), da cui conseguono oscillazioni del suo valore, e la relativa convenienza degli altri governi ad esercitare quel minimo di capacità di controllo  che tuttora si riservano al fine di favorire il contenimento di tali oscillazioni. A ciò si aggiunge, dall’inizio di questo secolo, la formazione di un’area di vera e rigida stabilità  (grossomodo coincidente con l’Unione Europea) in cui svariate monete nazionali sono state nominalmente sostituite da un solo segno (denominato Euro) onde riprodurre all’interno di questa le caratteristiche essenziali del sistema monetario aureo: vale a dire, la tendenza alla scarsità come condizione del pregio della moneta, la finalizzazione di tale pregio e della sua stabilità innanzitutto alle domande di privati prestatori di denaro, e gli effetti di contenimento e di depressione del livello reale di democrazia.

Non dovremmo perciò restare stupiti se nella presente situazione di dominio della moneta-merce si  fanno strada offerte di mezzi monetari concorrenziali rispetto a quelli adottati e riconosciuti da governi o  da consorzi di governi come l’Unione Europea. Favorita dalla rivoluzione digitale, ma riguardante esclusivamente soggetti privatamente dotati di grandissime risorse, la privata facoltà di battere moneta, di cui stiamo osservando la manifestazione da alcuni anni, mentre da una parte può illustrare il carattere piuttosto neofeudale che neoliberale della presente forma di civilizzazione, mette le autorità stabilite in una posizione alquanto scomoda; ma forse non troppo.  Mentre cioè queste si mostrano ogni tanto preoccupate, non possono per altro negare la coerenza di quel genere di operazioni con i fondamenti concettuali del sistema che esse custodiscono e gestiscono, ossia con il principio del denaro-merce.

Quali possono e dovrebbero essere allora i termini di una strategia democratica di resistenza e di riscossa nei confronti di tali tendenze in  atto, e della loro ulteriore involuzione manifestata dall’apparizione e dalla crescente diffusione dei Bitcoin? Avendone la forza (o meglio, avendone quanto prima acquisita), si può ben trattare di affiancare e contrapporre alla tendenza involutiva costituita dalla creazione privata  di moneta “parallela” una creazione pubblica democraticamente organizzata e motivata. Nei confronti della quale (già come idea) bisogna naturalmente prevedere un intenso fuoco di sbarramento mediatico, evocante il terrifico quanto indistinto spettro del cosiddetto “sovranismo”, da parte dei più o meno convinti ma sempre ben collocati custodi del neofeudalesimo globale. Raramente si ricorda che lo stesso genere di anatemi (senza il presente orribile neologismo, almeno) risuonarono largamente  nei confronti della politica monetaria del New Deal negli anni Trenta del secolo scorso.

Raffaele D’Agata



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